da Zodiaco
Poemetto

con dodici illustrazioni di Oreste Zevola
Napoli, Colonnese, 1996

   VIII. Scorpione

Scarnifichi ogni gesto,
ogni parola:
eppure sei distratto.
Le foto che scatti
all’universo – un battito
di ciglia, un lieve ammicco –
sono frammenti di Plutone,
reperti, prove della tua esistenza
catalogate con estrema cura.
Ma l’archivio sei tu
e questo ti fa dubitare.
Calcolatore accanito,
valuti le probabilità,
scegli l’occasione,
al momento opportuno
lanci i dadi:
e quando viene fuori
la combinazione prevista
ti rendi conto che quelli, per te,
sono solo numeri;
e il sapore della vittoria
diventa cenere.

Il tuo veleno, Scorpione,
non è nella coda.

   XI. Acquario

Il tuo vezzo è la pietà.
Speculatore insaziabile,
analista per intuito,
ti perdi nell’attesa
dell’attesa e torni
sui tuoi passi, soddisfatto.
Chi t’appartiene lo ignora:
e tu non sai d’essere posseduto.
Il tempo gioca a moscacieca
con te, che fingi d’ignorarlo
e invece ne sei dentro
e sempre lo interroghi
e pretendi solo le tue risposte.
Lanciando la moneta
scegli il bordo, stanno in alto
le finestre a cui t’affacci.
Ma l’anima è giù, in strada,
nel cortile allungato dal ricordo
dove il pallone conteso rimbalza
dove il sudore si mischia.

Malgrado tutto, Acquario,
non riuscirai a sottrarti
alle bizze di Urano.

Felice Piemontese
“Il Mattino”, 29 aprile 1996

  Convinto, come ha scritto in un breve saggio apparso su <<Il rosso e il nero>>, la rivista letteraria che ha fondato e dirige, che quello nel “futuro interiore” resta ancora l’ultimo possibile viaggio, Edoardo Sant’Elia ha fatto dei dodici segni dello zodiaco l’argomento del suo primo libro di poesia, appena pubblicato dall’editore Colonnese. Ai segni zodiacali Sant’Elia non si accosta in cerca di impropabili vaticini, ma piuttosto per una sorta di ironico compendio di ciò che la tradizione, colta e/o popolare, attribuisce, di caratteristiche umane e intellettuali, a chi sia nato nei diversi periodi cui ogni segno corrisponde. Lo fa con distaccata ma non gelida eleganza, utilizzando una lingua poetica sobria, efficace, misuratissima, che a volte ha toni in qualche modo epigrammatici.

Dante Maffia
“Poiesis”, maggio/agosto 1996

  La poesia di Sant’Elia è corposa, fitta di riferimenti, allusiva, mai evasiva. Ogni segno zodiacale viene, nell’incipit, focalizzato nella sua essenza e poi risolto in una quasi divinità che allarga il suo potere al di là di ogni acquisizione risaputa.  I Segni non sono presenze lontane e vaganti, ma creature che ci stanno accanto con le loro contraddizioni umane, con le loro ambiguità, con i loro sogni e i loro desideri.  E allora come vivono il contrasto con la loro astratta natura divina? A raccordare la contraddizione (che poi è soltanto un gioco sottile di riverberi e di rifrazioni) ci pensa l’abilità poetica di Sant’Elia che sa dosare perfettamente il gioco delle parti, se così possiamo chiamarlo. Così “l’ultimo pericoloso enigma” del Toro o “l’illusione materna” del Cancro, diventano possibilità di una simbiosi tra astrattezza e concretezza, tra sogno e realtà, tra passato e futuro.

Eugenio Lucrezi
“Nord e Sud”, settembre/ottobre 1996

  Nel procedimento raffigurante di Sant’Elia i processi di denotazione assumono un ruolo determinante e delineano l’andamento prosodico, che procede per iterazione ed accumulo di descrizione e di nomi.  Le metafore sono quasi inapparenti, si mimetizzano nei versi per lo più brevi e spogli di evidenze – di propulsioni – ritmiche. Rivelato ancora che questa poesia rifugge (con eguale diffidenza?) tanto dall’azzardo lessicale quanto dell’ebbrezza della saturazione semantica, rimane da dire che la scrittura di Zodiaco si colloca in un filone tra i più appartati del nostro novecento: equidistante com’è dalle cifre orfiche ed ermetiche come da quelle sperimentali o avanguardistiche, si apparenta alle voci più segrete – e paradossalmente faconde – dei poeti usi ad intrattenere un incessante colloquio con gli universi dell’interiorità: da Michelstaedter a Clemente Rebora e a Ranchetti, per intenderci.