da Cartografia
Poemetto

con dodici disegni di Oreste Zevola
Napoli, La scuola di Pitagora, 2013

   IV. Atlante arabo

Nel disegno
è la cifra.
E nel colore.
E nei nomi.
Cosa importa
se i paesi
e gli oceani
non sono al loro posto?
In una partita di scacchi
spirituale
non contano le pedine
ma i movimenti
e il senso.
La palma, nel giardino,
non ha più consistenza
dell’ombra che procura.
Ma bisogna saper guardare.
Nel rigore algebrico
dei numeri
scalpitano gli accordi
di una ruggente melodia:
ma occorre prestare orecchio.
L’atlante non contiene
false informazioni,
né rivela
percorsi nascosti,
strade da esplorare.
Fornisce una guida;
e una cifra.
E non descrive nulla.

   VII. Americhe

È così vasto,
così esaltante,
questo Nuovo Mondo!
Navi d’ogni genere,
con vessilli e cannoni,
su onde carezzevoli
cullano sogni di gloria.
Attorno, strane creature:
la balena dal getto potente,
rapaci dall’adunco becco,
stormi di pesci volanti.
E poi fittissime foreste
e piante sconosciute
e montagne dalla sinuosa gobba

e vulcani ornati di pennacchio
e improvvisi corsi d’acqua.
E piccoli, orgogliosi
insediamenti,
sgranati lungo la costa,
bastioni del potere
e della fede,
metropoli future.
Nessuna traccia
degli indigeni
nella carta; per loro
questo mondo
non è nuovo.
La Storia,
al momento,
non li riguarda.

Michele Miniello
“Caffè Michelangiolo”, maggio/agosto – settembre/dicembre 2013

  Sant’Elia, con il suo ormai riconoscibile stile sobrio, asciutto, levigato (le parole sono tutte indispensabili per la comprensione dei versi), nobilita il resoconto delle sue mappe con lievi e delicate osservazioni, da poeta raffinato qual’è, attenuando ogni asperità. E intanto ci ha fatto fare il giro del mondo con un volo fantastico, operando una vera e propria magia. La sua poesia ha teorizzato al massimo la virtù della misura; in più, si muove in ambiti molto particolari, cercando sempre angolazioni originali e, dunque, privilegiate.

Alberto Tomiolo
“Il segnale”, ottobre 2016

  L’avvio del viaggio planetario che Sant’Elia intraprende con il suo poemetto svela senza indugi che la ricognizione non sarà indolore, nonostante il richiamo all’ordine, alla misura e all’indistinta coerenza formale che di per sé una cartografia parrebbe comportare, ed inoltre che non si celebra affatto il puntiglio della regolarità del mondo rappresentato ma, piuttosto, una diversità che viene scovata con versi nitidi e descrittivi, con precise elencazioni di singolarità, di peculiarità geofisiche propriamente e talvolta fin troppo esemplarmente storiche. 

Paola Villani
“Mosaico italiano”, dicembre 2016

  L’immagine della cartografia sembra connotare anche lo spazio-tempo della creazione di questi versi, lo scrittoio del poeta in una fase genetica che è essa stessa viaggio, ricerca, approdo, ritorno, nuova partenza. In questa seconda accezione di viaggio, la fantasia del critico immagina una complessa geografia, fatta anche di sterminate letture e itinerari testuali all’interno della vastissima biblioteca della tradizione occidentale. Si disvela l’autore-lettore Sant’Elia, lo studioso, il sapiente artigiano della lingua, nella continua contesa tra le parole e le cose, tra il testo e il contesto; il lettore attrezzato e insieme inerme, che travaglia allo scrittoio per tradurre immagini e testi in nuovi versi. È il Sant’Elia esperto conoscitore della poesia antica come della poesia del Novecento, il lettore del canone e dei modelli, che si inserisce con la sua scrittura a ridosso di un secolo squisitamente e contradditoriamente <<poetico>>, un secolo sul quale – per lo studioso – è ancora difficile fare la storia e con il quale – per il poeta – è ancora più difficile fare i conti.

Francesco Filia
“Poetarum Silva”, 2 ottobre 2018

  In Cartografia la parola poetica si fa mappatura mitica della terra, geroglifico spaziale ed enigma del viaggio umano, sia nello spazio che nello scorrere del divenire (Circoscrivere l’ignoto / negandone l’essenza. Tutto è descritto / e tutto è da scoprire: / il gioco è l’universo, / le tappe i continenti). Sant’Elia attinge a una parola poetica fortemente e coerentemente antiretorica, in cui la precisione della parola non può entrare in conflitto con la leggibilità e la trasparenza del dettato poetico. Un dettato in cui dialogano Gozzano e Omero, Palazzeschi e Ariosto. Una linea dunque volutamente antinovecentesca e antilirica, in cui si ritorna, oltre la parentesi lirica della tarda modernità, all’origine narrativa ed epica della poesia, al suo aprire mondi.