da Il naufragio
Poemetto

con tre acqueforti-acquetinte di Vittorio Avella
Nola, Il Laboratorio, 1996

   I. La Sentinella

Navi nemiche solcavano il mare.
Veloci, ricche navi,
ornate per incutere timore.
Al suono d’una voce
battevano le onde.
Né un alito di vento,
né l’ombra d’uno scoglio,
né il vuoto all’orizzonte:
nulla turbava i marinai.
Ed ecco che la voce
un attimo s’incrina,
per un istante cala.
E un’onda gigantesca,
venuta su dal nulla,
nel nulla le sommerge.

   II. Il Pescatore

Navi nemiche solcavano il mare.
Lungo il tramonto,
lungo la costa.
Tendevo le mie reti,
in tempo le ho ritratte.
Nei poveri miei occhi
al suono d’una voce
sono passate tutte.
Al mare piacque troppo
quella voce: di colpo,
nel mezzo dei suoi flutti,
una cascata aprì
e tutte, ad una ad una,
come piccoli pesci prelibati,
nella sua bocca liquida inghiottì.

Rinaldo Caddeo
“Capoverso”, luglio/dicembre 2003

  In questa architettura poematica, la pluralità dei punti di vista è salvaguardata dalla loro simmetria, almeno quanto la geometria non fa aggio sull’invenzione.  La coupure colta degli endecasillabi e dei settenari non mostra la corda dell’aulicità o dell’imitazione letteraria, perchè è mimetizzata e temprata dall’intonazione ritmica formulare e dalle figurazioni popolari (ad esempio gli osservatori e la loro imagerie richiamano, più o meno direttamente, i tarocchi). Il poemetto Il Naufragio parte da una problematica e da un’impostazione novecentesca, recupera formalizzazioni da un repertorio che attinge a strati remoti (pre-novecenteschi) e sfiora l’allegoresi, in un certo senso l’attraversa, senza bloccarsi in una simbolizzazione rigida e univoca.  Che cosa rappresentano le navi nemiche: la vita, la morte, la poesia?

Aldo Trione
“Capoverso”, luglio/dicembre 2003

  La grande poesia di Mallarmé, di Rimbaud, di Valéry, le esperienze estreme delle avanguardie primonovecentesche, le illuminazioni delle poetiche formaliste, sono state fortemente segnate dall’idea del naufragio, che, in larga misura, sembra costituire la cifra stessa dell’arte della modernità. Ma il naufragio è anche un territorio dolce, rasserenante, che rinvia all’attesa, alla dimenticanza. È quello che si può cogliere nei versi di Edoardo Sant’Elia, il quale ferma in delicati passaggi il proprio stupore, la propria malinconia. Egli vede navi nemiche, ma belle; racconta; ascolta lo sciabordio dell’acqua; percepisce voci; intravede luci, bagliori. In queste rappresentazioni fantasmatiche si disegna una sorta di ontologia del nulla, dove sembra cancellarsi il nostro esistere. Eppure, in questo naufragare, c’è l’utopia della salvezza, una struggente apertura verso il mondo della vita; c’è bisogno di ripensare le cose, di risituarle in una diversa e inesplorata costellazione di senso.